Thinking aloud

Laura Nateri, Country Head e Head of business development di Aberdeen Italy

L’educazione finanziaria non è un tema d’interesse solo per la scuola. Di recente istituzioni ed enti internazionali hanno sottolineato la necessità di estendere la cultura finanziaria anche agli adulti. In Italia a che punto siamo?

La situazione in Italia non è rosea. Secondo i risultati resi noti a fine 2015 dalla S&P Global Financial Literacy Survey sono solo il 37% gli adulti italiani che possiedono una cultura finanziaria adeguata. Si tratta di una percentuale bassa, soprattutto in termini relativi se si pensa che la Danimarca e la Svezia sono entrambe al 71%, il Canada al 68%, gli Stati Uniti al 57% e la Germania al 66%. Dunque affinché l’industria finanziaria italiana possa diventare più matura e avvicinarsi agli standard europei occorre attivare dei canali di comunicazione efficaci in grado di raggiungere un pubblico di investitori adulto. Uno di questi canali è sicuramente quello della consulenza finanziaria.

La donna, da sempre protagonista della gestione del bilancio familiare, è oggi madre e professionista consapevole. Le possibilità di accedere alle informazioni e acquisire maggiori competenze economiche sono le stesse degli uomini? Cosa può essere ancora fatto?

Per quanto riguarda il primo punto la risposta è affermativa, l’accesso all’informazione in Italia è adeguato. Per fortuna il nostro sistema scolastico è aperto. La frequentazione di qualsiasi tipo di istituto secondario o di liceo consente l’accesso a tutte le facoltà senza esclusione, e le ragazze che si iscrivono all’università in Italia sono un numero assolutamente rilevante e adeguato agli standard dei paesi avanzati. Scorrendo alcuni dati resi noti dal Miur nel 2015 si apprende che mediamente la popolazione universitaria italiana è composta dal 56% di ragazze e dal 44% di ragazzi. Numeri simili agli Stati Uniti dove il sorpasso è già avvenuto da anni. E guardando ai dati Istat resi noti nel 2014 relativi alle percentuali di italiane di laureati e diplomati, nella fascia 20-24 anni i diplomati maschi sono il 60,4% a fronte di una quota di diplomate pari al 67,3%. Mentre tra i giovani compresi fra i 25 e i 29 anni, il 28,7% delle donne possiede un titolo terziario contro un 17,7% degli uomini. Il problema dunque arriva dopo, e riguarda l’inclusione nel mondo del lavoro. Spesso c’è qualcosa che a priori inibisce le stesse donne dal candidarsi per determinati lavori e settori, fra cui quello finanziario, che è sicuramente ancora sottorappresentato in termini di presenza femminile. Occorre trasformare questo buon risultato a livello di scolarizzazione e competenze in inclusione nel mondo del lavoro. Questo passa per le aziende, che devono porre attenzione al tema della diversity in tutte le fasi della vita lavorativa, dal recruiting fino ai criteri di avanzamento di carriera e di composizione dei CdA. Ma passa anche per la categoria degli head hunter che dovrebbero cercare di garantire un talent scouting che dia eguale rappresentanza a entrambi i sessi. Infine passa anche per un tema culturale, che deve lavorare su i cosiddetti “pregiudizi inconsci” che fin dalla prima infanzia tendono a considerare gli indirizzi scientifici meno adeguati per le ragazze, spesso considerate, erroneamente, predisposte alle materie classiche e umanistiche piuttosto che a percorsi di studio nell’area STEM (Science, Technology, Engineering, Mathematics).

Parlare ai giovani e parlarci meglio: è questo il fil rouge delle iniziative attualmente in corso in ambito educational. Come agganciare l’interesse dei ragazzi e, soprattutto, quali strumenti utilizzare per comunicare?

La tecnologia rappresenta uno strumento potente per avvicinarsi ai giovani. Non è un caso che il fintech stia prendendo piede proprio per la capacità di diffondere le informazioni finanziarie in maniera più capillare e meno elitaria rispetto a un tempo. Gli strumenti tecnologici possono avvicinare l’industria a un pubblico giovane colmando quel gap anagrafico che ha sempre portato a ritenere i più giovani una fascia meno propensa al risparmio e all’investimento. Oggi l’educazione finanziaria passa invece per un processo di alfabetizzazione delle nuove generazioni perché diventino gli investitori consapevoli di domani. In questo senso i social network rappresentano un volano straordinariamente efficace perché usano un linguaggio molto popolare e appealing. Anche noi ci siamo posti questi obiettivi e per questo Aberdeen ha lanciato Thinking Aloud, un blog dove trovare idee, commenti e view di investimento, costantemente aggiornato e fruibile attraverso diversi canali social.

Come Aberdeen Italia avete di recente aperto un blog - "Thinking aloud" – all’interno del quale condividere idee, spunti, riflessioni e view di investimento. Quali sono i vantaggi dell’utilizzare il canale digitale per gli obiettivi di education?

L’education passa per un linguaggio semplice e comprensibile. Aberdeen ha ben chiaro questo concetto e lo porta avanti quotidianamente promuovendo una comunicazione improntata alla semplicità e chiarezza dei messaggi, ma anche dando l’opportunità ai propri interlocutori di imparare, approfondire e prendere al meglio le proprie scelte d’investimento grazie all’accesso a contenuti informativi e specializzati. Il lancio del sito Thinking Aloud, si colloca proprio in quest’ottica: abbiamo reso sempre più facile diffondere cultura e consapevolezza finanziaria grazie anche alla velocità con cui possiamo condividere le nostre analisi, velocità che oggi è sicuramente uno dei fattori chiave per stare al passo con le dinamiche tecnologiche in continua evoluzione.

La nostra Fondazione, in collaborazione ​con il Miur, promuove i giovani talenti italiani con il progetto "i #fuoriclassedellascuola": un’iniziativa che, coinvolgendo il settore privato, premia gli studenti più meritevoli dando loro la possibilità di usufruire di un compenso economico e del campus sull’imprenditorialità organizzato dal Museo del Risparmio di Torino. Questa è una delle best practice avviate per mettere in contatto il settore privato con il mondo della scuola; quali sono, secondo la sua opinione, gli sforzi da compiere in quest’ottica?

È chiaro che l’Italia necessita di un maggiore coinvolgimento del mondo imprenditoriale nelle scuole soprattutto a livello di educazione secondaria. Le aziende devono farsi promotrici di una cultura economica che arrivi a dialogare con la scuola. Questo processo è in parte stato avviato grazie alla recente introduzione del progetto di alternanza scuola lavoro promosso dal Miur, ma deve continuare e concretizzarsi sempre di più. In questo senso anche le scuole devono farsi promotrici di un approccio più pragmatico cercando di formare già dal liceo dei profili e degli indirizzi che possano aiutare i ragazzi ad affacciarsi al mondo universitario o lavorativo con le idee più chiare su quello che vogliono fare. Noi come Aberdeen promuoviamo da diverso tempo un programma Graduate volto a selezionare i migliori talenti, offrendo ai neolaureati un’opportunità di training di due anni in diverse aeree operative della nostra società per approdare a un processo di inclusione che tenga conto delle skills dimostrate. Credo che progetti di questo genere vadano nel migliore interesse biunivoco tanto delle aziende quanto dei giovani. A proposito di collegamento fra mondo universitario e lavorativo mi piace citare un’iniziativa, rivoluzionaria nel suo genere, che è quella di Egomnia. È un successo tutto italiano ideato da Matteo Achilli, giovanissimo imprenditore ex studente della Bocconi, che ha ideato un algoritmo per mettere in comunicazione, in modo rapido ed efficace, i talenti usciti dalle università con il mondo delle aziende, che attraverso un ranking attribuito ai neolaureati con criteri legati al curriculum scolastico e non solo possono selezionare i profili più idonei e adatti alle proprie necessità di business.