Il genere di un bambino influenza le scelte di risparmio delle famiglie?

Francesca Arnaboldi è professore associato di Economia degli Intermediari Finanziari presso l’Università degli Studi di Milano. Laureata in Economia dei Mercati e degli Intermediari Finanziari presso l’Universita’ Commerciale L. Bocconi, ha conseguito un MSc in Financial Management presso la University of London, CeFiMS e un dottorato di ricerca in Mercati e Intermediari Finanziari presso l’Universita’ degli Studi di Bologna.

 

Francesca Gioia è ricercatrice (tipo B) presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche "Cesare Beccaria" dell’Università degli Studi di Milano. Ha conseguito il Dottorato di ricerca in Scienze Economiche e Aziendali presso l’Università della Calabria e il PhD in Economics presso l’Università di Edimburgo. I suoi principali interessi di ricerca riguardano i settori dell’economia comportamentale, dell’istruzione, del lavoro, dell’economia sperimentale e della discriminazione di genere.

 

1. Dall’Indagine OCSE PISA 2018 emerge che i quindicenni italiani non sono preparati quanto i coetanei europei sulle competenze in ambito economico-finanziario. Qual è secondo lei la causa principale di questo fenomeno?

E’ difficile identificare una causa principale. Come emerge dall’Indagine OCSE PISA 2018, le competenze finanziarie sono correlate alle competenze in matematica e lettura. In media, nei paesi esaminati, gli studenti migliori in matematica e lettura hanno anche migliori risultati in economia e finanza. Sembra quindi esserci un legame tra il sistema educativo nel suo complesso e la capacità degli studenti di comprendere i problemi finanziari. Inoltre, la nostra società è strutturata in modo tale che il quindicenne italiano venga nella maggioranza dei casi sollevato da decisioni economico-finanziarie relative alla famiglia, che sono invece assunte dai genitori. Non coinvolgendo i figli, però, i genitori non trasmettono informazioni e conoscenze che invece possono rivelarsi importanti per la loro vita futura.

2. La digitalizzazione offre ai giovani opportunità straordinarie. Esistono tuttavia anche nuove responsabilità e pericoli, soprattutto in merito alle attività finanziarie. C’è un patrimonio inedito di competenze da sostenere e promuovere?

In base a una recente relazione dello European Institute for Gender Equality (EIGE), nell’Unione Europea la generazione composta dalle persone di età compresa tra i 15 e i 24 anni vanta competenze digitali elevate: il 56 per cento delle ragazze e il 58 per cento dei ragazzi possiede in questo campo competenze superiori alla media. Nel World FinTech Report 2017 di Capgemini-Efma si evidenzia una progressiva crescita della fiducia della clientela nei confronti del FinTech, specie nelle fasce più giovani e digitalizzate. Tuttavia, proprio per questa fascia d’età, sembra opportuno integrare le competenze digitali con quelle finanziarie poiché la crescita di fiducia può portare a errori di valutazione del rischio associato alle iniziative FinTech, a problemi legati alla privacy e alla gestione dei dati personali.

3. Venendo all’educazione finanziaria “al femminile”, che idea si è fatta della situazione in Italia?

In Italia siamo in ritardo nell’educazione finanziaria “al femminile”. Come emerge dall’Indagine OCSPE PISA 2018 prima ricordata, le studentesse italiane hanno ottenuto in media un punteggio inferiore di 15 punti rispetto ai coetanei maschi; mentre negli altri paesi il gender gap è stato in media di soli 2 punti. Da una recente indagine della Banca d’Italia (2020) sull’alfabetizzazione finanziaria degli italiani emerge che la partecipazione al mercato del lavoro, e quindi la gestione di un reddito personale, influisce favorevolmente sulle conoscenze finanziarie. Le casalinghe e le pensionate contribuiscono ad ampliare la distanza nei livelli di conoscenze, rappresentando i sottogruppi più fragili, mentre le lavoratrici autonome risultano più preparate degli omologhi uomini. Minori conoscenze finanziarie tendono a tradursi in minori risparmi che finiscono per incidere negativamente sulla ricchezza previdenziale - in un momento storico in cui la previdenza pubblica non riesce più a garantire le prestazioni erogate in passato -, sul tenore di vita individuale e sull’efficienza nell’allocazione dei capitali, continuando a relegare la donna in una posizione di dipendenza economica dal partner o dalla famiglia d’origine.

4. Nel webinar promosso in collaborazione con Banco BPM lei è invitata ad affrontare il tema di come la nascita di un maschio o una femmina influenzi le scelte di investimento e risparmio delle famiglie. Ci può spiegare sinteticamente il perché?

La nascita di un bambino implica una riflessione sulla pianificazione finanziaria della famiglia a più lungo termine che è influenzata dal genere del figlio. Il figlio maschio viene solitamente considerato più autonomo e indipendente dal punto di vista finanziario, in grado di accedere ad occupazioni più remunerative e ad occuparsi della famiglia di origine in caso di necessità. Una figlia viene invece associata ad una maggiore necessità di asset finanziari in futuro, sia come dote che come risparmi da accantonare per necessità della famiglia di origine. Utilizzando i dati raccolti dalla Banca d’Italia, troviamo proprio che i genitori di un maschio non aumentano la porzione di investimenti a lungo termine e vedono diminuire la diversificazione di portafoglio rispetto ai genitori di bambine. Queste differenze dettate da stereotipi di genere sono molto importanti perché le scelte di investimento fatte quando i bimbi sono piccoli influenzano le condizioni economiche dei figli una volta cresciuti e quindi le loro opportunità.