Imprenditrici si diventa

Antonia Patrizia Iannuzzi è professore associato in Economia degli Intermediari Finanziari presso il Dipartimento di Economia, Management e Diritto dell’Impresa dell’Università degli Studi di Bari dove insegna “Economia degli Intermediari Finanziari” (laurea triennale) e “Gestione delle Istituzioni Bancarie e Assicurative” (laurea magistrale). Ha conseguito il Ph.D presso l’Università Sapienza di Roma in “Gestione Bancaria e Finanziaria” ed è autrice di molteplici pubblicazioni scientifiche nell’ambito della finanza etica, della corporate governance e della gender diversity, con specifico riguardo al settore bancario e finanziario.

 
 
1. Che cosa si intende per divario di genere nel processo di alfabetizzazione finanziaria?

L’alfabetizzazione finanziaria concerne il livello di conoscenze e competenze finanziarie di base utile per assumere decisioni di investimento e di allocazione del risparmio adeguate ed efficienti. Purtroppo, molteplici ricerche documentano come tale livello di conoscenze non sia omogeneo tra i due sessi, maschile e femminile; anzi, esisterebbe un significato gap a discapito delle donne, le quali mostrerebbero livelli costantemente inferiori di alfabetizzazione finanziaria rispetto agli uomini. A livello mondiale, si stima che il 35% degli uomini sia alfabetizzato finanziariamente, rispetto al 30% delle donne. Inoltre, tale divario appare piuttosto diffuso caratterizzando sia le economie avanzate che quelle emergenti (S&P GFLS).

2. Le imprese femminili hanno le stesse possibilità di sviluppo di quelle maschili?

Purtroppo la risposta a questa domanda è (ancora) negativa. Complice (anche) la minore alfabetizzazione finanziaria delle donne, le imprese femminili tendono ad essere più discriminate nell’accesso al credito bancario per ragioni attinenti sia al lato dell’offerta che a quello della domanda. Dal primo punto di vista (supply-side), molteplici ricerche rilevano che le banche tendono a richiedere alle imprese femminili, bisognose di finanziamenti, maggiori garanzie. Dal lato della domanda (demand-side), anche a causa di tali vincoli creditizi, le imprese femminili spesso assumono un atteggiamento di scoraggiamento scegliendo di non fare domanda di credito, perché ritengono che la loro richiesta non verrà accettata, oppure cercano di fare maggiore affidamento sulle proprie (più limitate) risorse interne (autofinanziamento, prestiti familiari) e ciò, inevitabilmente, ne vincola la crescita e la capacità competitiva.

3. Quali sono stati gli effetti della pandemia da Covid-19 nell’accesso al credito da parte delle donne?

Purtroppo la pandemia da Covid-19 ha colpito più duramente le imprese femminili. Diversi studi, infatti, hanno evidenziato come tali imprese non solo hanno sofferto una maggiore riduzione della domanda di prodotti e dell’offerta di fattori produttivi, con conseguente impatto negativo sul fatturato, ma hanno altresì ricevuto, mediamente, un minore sostegno pubblico rispetto alle controparti maschili. Di conseguenza, le donne sono state costrette a chiudere le loro attività più frequentemente degli uomini, dovendo anche impegnarsi nella cura della famiglia. Inoltre, la pandemia da Covid-19 ha confermato il tendenziale atteggiamento di scoraggiamento nel fare domanda di credito da parte delle imprese femminili sebbene ne abbia modificato, in parte, le motivazioni.

4. Una maggiore presenza di donne nella proprietà delle imprese ne influenza la crescita?

Una recente ricerca (Birindelli, Capozza, Iannuzzi, 2023) condotta su un campione piuttosto vasto di imprese europee, ha evidenziato come, sia prima che durante la pandemia da Covid-19, la probabilità di non presentare domanda di credito aumenta per le imprese femminili caratterizzate da una maggiore presenza di donne nella proprietà. In altri termini, lo scoraggiamento delle imprese a conduzione femminile si rafforza a un ritmo crescente e concomitante con la partecipazione delle donne nella struttura proprietaria, a prescindere dalla presenza di una crisi finanziaria.