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      La sostenibilità economica

      Intervista alla dott.ssa Valeria Duico, Direttore Fondazione Gruppo Creval e Responsabile Divisione Sostenibilità Creval

      1. Cosa vuol dire oggi per un’azienda privata italiana occuparsi di sostenibilità?

      Per inquadrare il tema della sostenibilità, evitando il rischio di sembrare riduttiva o retorica, vorrei soffermarmi su due parole chiave della Sua domanda: “oggi” e “italiana”. Questo termine, fino a quarant’anni fa prerogativa di un élite illuminata di imprenditori e accademici fermamente convinti del ruolo dell’impresa come attore sociale – pensiamo alle teorie più note di Howard Bowen e Archie B. Carroll della c.d. business ethics –, si ritrova nel contesto odierno “abusato” da chiunque voglia abbellire la propria immagine reputazionale (cfr. greenwashing). Le imprese non realizzano progetti di sostenibilità perché sono “buone” – per così dire –, ma perché credono nel circolo virtuoso in grado di svilupparsi da uno loro specifico modus operandi sul territorio - sotto forma di stili di vita, di consumo e di comunione di intenti etici, al contempo, - condiviso tra tutti i portatori d’interesse presenti sul territorio di riferimento.

      Essere sostenibili significa innanzitutto ascoltare, percependo i segnali deboli, i bisogni della comunità e le necessità delle categorie in condizioni di povertà relativa e assoluta, disagio psico-sociale o fisico, e proporre delle soluzioni efficaci in sinergia con la totalità di enti che possiedono un ruolo sociale: Ong, Fondazioni, Associazioni di categoria e altre imprese, senza competizione ma creando un network realmente al servizio delle persone. Nel quadro italiano del decennio che viviamo, caratterizzato da forti sfide sociali e da una crescita economica altalenante, è urgente più che mai per le imprese restituire ai territori in cui operano valore condiviso e nuove opportunità di sviluppo. Le modalità per le imprese di contribuire sono molteplici: informare e formare sui temi di sostenibilità, realizzare iniziative in favore del benessere dei dipendenti e degli stakeholder esterni, operare in chiave di risparmio di risorse energetiche e naturali, sostenere le piccole realtà e le loro tradizioni, riscoprire i talenti autoctoni delle aree di appartenenza, rendere accessibili i servizi a tutti i cittadini, anche con disabilità, e molto altro.

      Un ulteriore tema riguarda l’individuazione di tutte le attività che l’azienda già realizza senza essere consapevole che rientrino già “sotto il cappello” della Corporate Social Responsibility. La grande sfida di chi oggi opera in questo campo consiste proprio nel rintracciare nei processi aziendali consolidati le iniziative già connotate da una vocazione socio-ambientale sottesa. Questo è il punto di partenza per voi valorizzarle, comunicarle e raccontarle all’intera platea degli stakeholder, altrimenti restano fini a se stesse.

      Nel caso di Creval vorrei sottolineare che nella nostra Carta dei Valori sono enunciati i principi dell’integrità e responsabilità e dell’innovazione per la sostenibilità - concretizzati anche attraverso l’attività della Fondazione Gruppo Credito Valtellinese e di alcuni Servizi della banca rivolti nello specifico a supportare la collettività in ottica sostenibile; chiudo quindi come ho iniziato: “responsabilità” etimologicamente significa “rispondere” ovvero rispondere alle richieste provenienti dall’esterno e innovazione non esprime altro che la formulazione di ricette - auspicabilmente ben riuscite! - per esaudirle.

      2. In che modo l’educazione finanziaria può supportare lo sviluppo sostenibile?

      I dati sull’analfabetismo economico-finanziario sono allarmanti nel nostro Paese: secondo un’indagine realizzata dalla S&P Global FinLit, il 63% dei nostri connazionali non possiede le conoscenze finanziarie di base. Un ulteriore studio condotto su 7.068 studenti italiani della scuola dell’obbligo rivela che il loro know-how sul tema si attesta al di sotto della media dei Paesi OCSE. Tali risultanze ci devono far attivare subito per creare percorsi di educazione economico-finanziaria sin dalla scuola dell’infanzia; il margine di azione al riguardo è ancora molto elevato. Lo sviluppo sostenibile nella sua definizione richiede di essere esteso a tutte le generazioni in egual misura e con altrettanti mezzi. È difficile pensare che ciò possa realizzarsi se i giovani sono privi dei basilari strumenti conoscitivi per comprenderne il valore, risparmiare e investire il denaro. Fornire conoscenze specifiche permette di trasformare queste abilità acquisite in capabilities - per dirla con parole di Sen e Nussbaum – e quindi di affrontare consapevolmente scelte di vita con un approccio lungimirante per il futuro e con forti ricadute positive sulle scelte occupazionali dei singoli e sul modo in cui verranno gestiti i propri risparmi.

      3. Che funzione hanno e dovrebbero avere le scuole?

      Questo tema è per taluni controverso. Non possiamo, a mio avviso, delegare solo al mondo della scuola, e dunque agli insegnanti, un compito condiviso come la formazione economico-finanziaria dei giovani. Mi spiego meglio: i fattori principali di influenza sull’alfabetismo o al contrario analfabetismo di un cittadino adulto sono costituiti dal background familiare e socio-economico, dalle occasioni in cui si relazionano con il denaro – anche semplicemente tramite la vecchia “paghetta” - e dalle responsabilità quotidiane sul tema affidate loro dai genitori. Il ruolo della scuola è fondamentale per consolidare le conoscenze di base che gli studenti imparano e vivono in famiglia. Lo scenario ottimale prevedrebbe che scuola e famiglia si “parlassero” per collaborare a colmare i rispettivi gap di informazione-formazione. Un’ultima osservazione che vorrei fare riguarda la questione, verificatasi nel corso degli ultimi decenni, degli insegnanti privati in parte del “prestigio sociale” proprio del loro ruolo, tra l’altro tanto delicato e fondamentale, per la formazione della società futura. Ritengo che le istituzioni competenti debbano farsi carico subito del riconoscimento ufficiale della centralità della scuola, anche per mezzo di strumenti programmatici inclusi i piani pluriennali, in grado di interpretare la figura degli insegnanti in una posizione di dialogo costruttivo con i genitori, anche sui temi della sostenibilità, dell’educazione finanziaria e civica.

      4. Ci sono strumenti più efficaci di altri per sensibilizzare e coinvolgere fasce sempre più ampie di popolazione sui temi della sostenibilità economica, sociale e ambientale?

      Tra gli strumenti più utili, i social network possiedono il grande vantaggio di essere gratuiti e ad accesso quasi universale dal punto di vista geografico e generazionale, rappresentando una modalità immediata di informazione e di dibattito, se veicolati nella maniera corretta. Si parla sempre dei loro rischi, ma porre l’attenzione sulle potenzialità inespresse contribuirebbe a progetti interessanti ed ambiziosi! Grazie all’invito del MIUR a trattare in aula le tematiche suddette, anche le Fondazioni e le imprese possono trovare un proprio spazio per offrire occasioni divulgative e lezioni interattive sia con i più piccoli sia con gli adulti, anche giovandosi della collaborazione di FEduF. La sfida è ancora aperta fintanto che i risultati prodotti porteranno l’Italia ad un livello di conoscenza ben superiore alla media europea.

      5. Come si immagina la cultura sostenibile nel nostro Paese tra dieci anni?

      È difficile fare delle previsioni sul tema. L’Agenda 2030 dell’Onu, che tra dieci anni dovrebbe essere implementata in toto, potrebbe essere riuscita a far permeare nella società una cultura della sostenibilità; senza quest’ultimo elemento non possiamo immaginare che si raggiungano grandi obiettivi. Per quanto riguarda le imprese, sono del parere che resteranno sul mercato quelle in grado di presentare piani di business perfettamente integrati con la sostenibilità.

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