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      La nascita delle banche: una storia italiana

      PRIMA DI DESCRIVERE COME, DOVE E QUANDO SONO NATE LE BANCHE OCCORRE INNANZITUTTO CAPIRE COSA SIA UNA BANCA.

      Per gli economisti, un’istituzione finanziaria è una banca se e solo se svolge le seguenti tre funzioni: prestare denaro, ricevere denaro in deposito e creare moneta.

      Le prime due funzioni sono intuitive: è in banca, infatti, che normalmente ci rechiamo per depositare il nostro risparmio e per chiedere un mutuo o qualche altro tipo di prestito.

      Per la terza funzione invece, bisogna sgombrare il campo dall’ambiguità sul significato del termine ‘moneta’. Nel linguaggio quotidiano, infatti, moneta è sinonimo di banconote e non c’è dubbio che è proibito crearle dato che può farlo un solo soggetto, la Banca Centrale Europea attraverso le zecche. Per gli economisti, tuttavia, per moneta si intende la totalità dei mezzi di pagamento che normalmente usiamo per i nostri acquisti. Le banconote sono sicuramente un mezzo di pagamento ma, oltre ad esse, usiamo anche assegni, bancomat, carte di credito etc, basti pensare che la somma degli acquisti effettuati con questi strumenti creati dalle banche supera, anche di molto, la somma del valore delle banconote in circolazione.

      
Il dove e quando nascono le banche è una storia tutta italiana, ambientata nelle ricche città del centro-nord agli inizi dell’epoca rinascimentale. A quel tempo, almeno sotto il profilo dello sviluppo economico e sociale, l’Europa era dominata da due regioni – le Fiandre ed il Nord-Italia – entrambe con fiorenti manifatture e connesse l’una all’altra da una fitta rete di relazioni commerciali. Le merci attraversano le Alpi nei due sensi oppure viaggiano via mare. Erano trasporti lunghi, difficili e non privi di rischi. A partire dal trasporto dell’oro, il corrispettivo con cui venivano scambiate le merci.

      L’oro era l’unica forma di moneta, l’unico mezzo di scambio del tempo. Si presentava in vari conii, uno per ogni città-stato. Il valore di ogni moneta, fosse un ducato di Venezia o un fiorino di Firenze, era rigidamente proporzionale al contenuto di oro presente in essa. Oltre alle manifatture per le esportazioni ed ai commerci, un’altra attività era piuttosto fiorente nelle città italiane, si trattava dell’oreficeria. Gli orefici, oltre ad essere molto ricchi, disponevano anche di robusti forzieri e robusti guardiani per cui, agli occhi degli altri mercanti, dovevano sembrare le persone giuste a cui affidare in custodia l’oro che serviva per il commercio. Dobbiamo allora immaginare che ad un certo punto, da qualche parte in Toscana oppure a Genova, un orefice abbia iniziato ad offrire un servizio di deposito, ovvero la prima funzione che caratterizza una banca moderna. Il depositante si recava presso il negozio dell’orefice con il gruzzolo e l’orefice rilasciava una ricevuta che poi sarebbe stata usata in futuro: non tanto per ottenere la restituzione dello stesso gruzzolo consegnato ma, più semplicemente, per ottenere una quantità d’oro equivalente a quella consegnata, magari al netto di un piccolo compenso per il servizio di custodia offerto. La ricevuta si chiamava “nota di banco” perché era solitamente firmata sul banco dell’orefice. La nascita della figura dell’orefice-custode rappresenta il primo passo nella direzione della nascita dell’istuzione della banca. Un secondo passo fu compiuto con l’invenzione di qualcosa di molto simile al moderno assegno. Accadde quando un mercante italiano di cui purtroppo non conosciamo il nome, propose ad un collega fiammingo di ricevere in pagamento non una certa quantità di oro, ma la “girata” di una nota di banco che attesta il deposito della stessa quantità presso qualche orefice-custode.

      La girata delle note di banco facilitò di molto gli scambi commerciali e si rivelò subito un successo. Non occorreva più andare in giro per l’Europa con borse piene d’oro attaccate alla cintola. L’oro rimaneva al sicuro nei forzieri degli orefici-custodi. Al posto dell’oro cominciarono a circolare le note di banco che, per ovvie ragioni, risultavano più facili da trasportare e meno appetibili per i rapinatori.


      Prima di continuare la nostra storia, conviene tuttavia soffermarsi sulla figura degli orefici-custodi: non possiamo infatti considerarli una forma embrionale di banca. Essi ricevevano in deposito il denaro ma non svolgevano ancora le altre due funzioni caratteristiche della banca: il prestito di denaro e la creazione di moneta. L’innovazione rappresentata dalla circolazione delle note di banco in sostituzione dell’oro era resa possibile da un unico elemento, l’affidabilità degli orafi-custodi, la loro ricchezza e la fama dei loro robusti forzieri.

      Cosa accadde poi? Un custode-orefice, del quale non ci è pervenuto il nome, maturò prima degli altri l’idea di ricavare profitto dal prestare ad altri l’oro accumulato non suo. A lui va il merito di essere il primo proto-banchiere.

      Dobbiamo dunque immaginare che un mercante bisognoso di credito si sia rivolto a questo proto-banchiere per avere oro in prestito e questi, invece di consegnargli materialmente il gruzzolo, gli abbia consegnato una nota di banco in cui riconosceva al titolare una certa quantità di oro. D’altra parte, per il mercante la nota di banco era del tutto equivalente al gruzzolo se poteva poi essere usata negli scambi proprio come se fosse oro. L’operazione appena descritta rende l’orafo-custode un proto-banchiere perché sorgono contemporaneamente le altre due funzioni tipiche della banca, la concessione di prestiti e la creazione di moneta. Infatti, attraverso l’emissione di note di banco in eccesso rispetto all’oro posseduto nei forzieri, non solo venivano concessi dei prestiti ma creava moneta proprio nell’accezione degli economisti che considerano moneta tutto ciò che viene accettato negli scambi. Le proto-banche creavano dunque moneta emettendo più note rispetto all’oro posseduto e aumentando, di conseguenza, l’ammontare complessivo dei mezzi di pagamento.

      Non rimane che chiarire un ultimo punto. Avendo gli orafi-banchieri firmato più note di banco rispetto all’oro posseduto non si erano incamminati verso un sicuro dissesto finanziario? La risposta a questa domanda è negativa dal momento che essi sottoscrivevano le note solo a fronte di prestiti, aumentando di conseguenza anche i loro crediti. Il rischio a cui invece si sottoponevano razionalmente era il cosiddetto rischio di non essere liquidi. Illiquidità non è sinonimo di insolvenza ovvero di incapacità di onorare i propri debiti. L’illiquidità può sorgere anche quando il bilancio è sano ma si hanno debiti che i creditori possono esigere immediatamente e crediti che non sono invece immediatamente esigibili. E tale era appunto la situazione degli orafi-banchieri. Avevano concesso dei prestiti a termine ma i loro debiti erano immediatamente esigibili dato che non potevano rifiutarsi di consegnare immediatamente l’oro qualora un portatore di una nota si fosse presentato al banco. Ma, come sottolineato, gli orafi-banchieri si sottoponevano “razionalmente” al rischio di illiquidità nel senso che, tutto sommato, si trattava di un rischio calcolato. In fondo, tutto quello che bisognava fare era evitare che troppi titolari di note si presentassero al banco lo stesso giorno per reclamare la restituzione del proprio oro.

      Le banche moderne sono diverse dall’orafo banchiere per molti aspetti ma le tre funzioni di base rimangono le stesse. L’oro è stato sostituito dalle banconote della Banca Centrale Europea mentre le note di banco sono state sostituite da assegni, carte di credito ed altri strumenti di pagamento. Tranne rari casi, difficilmente assistiamo oggi ad una corsa agli sportelli da parte dei depositanti. E questo perché esistono regole ed istituzioni che, nel tempo, hanno rafforzato e conservato la fiducia degli individui nel sistema bancario. Nel nostro Paese, se una banca fallisce, ciascun correntista è assicurato per una cifra superiore a 100 mila euro grazie all’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi. Pochissime persone detengono una cifra così elevata sul conto corrente per cui, in caso di fallimento, quasi nessuno rischia veramente di perdere i propri risparmi. Si tratta della copertura più elevata all’interno dei paesi dell’area euro[1].

      [1] Demirguc-Kunt A., Karacaovali B. e Laeven L., Deposit Insurance Around the World, A comprehensive Database, 2005, World Bank.

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