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      Famiglie formiche e governi cicale

      In quasi tutti i paesi del mondo, i governi tendono a spendere di più rispetto a quanto incassano con le entrate fiscali e, quindi, sono costretti ad accumulare debiti nei confronti delle famiglie. Rispetto a questa tendenza globale il nostro Paese non fa eccezione, anzi! Se ci confrontiamo con gli altri paesi avanzati e prendiamo in prestito la metafora della cicala e della formica, scopriamo che, negli anni, le famiglie italiane sono state delle ammirevoli formichine ed i governi delle insuperabili cicale.

      • Il debito
      • Consenso elettorale
      • Conflitto d’interessi

      Proviamo a capire le motivazioni che spingono un governo a voler accumulare debito.

      In primo luogo, il debito può tornare utile nelle fasi di recessione, quando cioè, la produzione è bassa e la disoccupazione è elevata per cui sembra opportuno e ragionevole che il governo, al fine di sostenere l’economia, riduca le tasse ed aumenti le spese, anche se entrambe le cose generano debito.

      In secondo luogo, il debito può essere usato come soluzione cuscinetto per rimediare a squilibri finanziari temporanei. Sia le entrate che le uscite del bilancio pubblico non sono delle grandezze certe ma sono soggette a variazioni in parte imprevedibili. Quando le uscite superano le entrate in modo imprevisto le opzioni per il governo sono due, introdurre tasse aggiuntive oppure ricorrere al debito. Le tasse aggiuntive, tuttavia, presentano il problema di scoraggiare gli affari e danneggiare il funzionamento dell’economia per cui il ricorso al debito si rivela l’opzione più efficiente.

      In terzo luogo, il debito è un modo per far pagare alcune spese pubbliche a coloro che ne sono i veri beneficiari. Molte uscite del bilancio pubblico sono destinate alla realizzazione di investimenti come, ad esempio, la costruzione di una ferrovia o l’apertura di una università, che generano servizi per gli anni a venire e producono benefici non solo per le generazioni correnti ma anche per quelle future che, sembra giusto, devono partecipare al finanziamento di queste opere. Ebbene, l’indebitamento svolge proprio questa funzione di trasferire sui futuri beneficiari il pagamento di investimenti pubblici che vengono realizzati oggi.

      Infatti, saranno proprio i futuri beneficiari coloro sui quali graverà l’onere di ripagare il debito. Sulla base di queste argomentazioni, la propensione ad accumulare debito sembrerebbe legittima e conforme all’obiettivo del bene comune. Molti economisti, però, sono scettici su questa conclusione ed osservano che i meccanismi illustrati non giustificano gli elevati livelli di debito raggiunti soprattutto negli ultimi decenni. Se i governi si indebitano nelle fasi di recessione, perché poi non riducono il debito nelle fasi di espansione? Nelle fasi di forte crescita, infatti, è possibile aumentare le tasse e ridurre la spesa pubblica senza danneggiare eccessivamente l’economia. Questo significa che con un utilizzo avveduto di spesa pubblica e tasse si può mantenere basso il debito senza pregiudicare gli interventi nelle fasi di recessione. 
Allo stesso modo, se è efficiente indebitarsi quando le uscite superano in modo imprevisto le entrate perché il debito non viene poi ridotto quando accade il contrario? Perché, quando si materializza un “tesoretto” inatteso, nessuno propone che venga usato per pagare una parte di debito?
Infine, ferrovie ed università sono costruite in ogni parte del mondo avanzato. Perché allora in alcuni paesi il debito è superiore rispetto ad altri paesi pur avendo più o meno tutti investito le stesse risorse in opere di pubblica utilità?

      In sintesi, molti economisti ritengono che la tendenza ad accumulare debito non sia giustificabile sulla base di argomenti di ordine economico e vada piuttosto addebitata a meccanismi di ordine politico. Ai governi, infatti, piace aumentare la spesa perché questa genera consenso elettorale ma, per la stessa ragione, non piace aumentare le tasse. Se si aumentano gli stipendi ai dipendenti pubblici, le chances di rielezione migliorano; se si aumentano le tasse, invece, le chances calano. Ricorrere al debito allora è un po’ come trovare la quadratura del cerchio dato che il debito consente di spendere di più senza imporre nuove tasse.

      Si potrebbe però eccepire che questo ragionamento contiene una incoerenza logica. Il debito, infatti, dovrà prima o poi essere ripagato e, prima o poi, dovranno comunque essere introdotte nuove tasse. Ma il punto critico di questa osservazione è proprio il “prima o poi”. Perché i governanti attuali dovrebbero preoccuparsi delle tasse che sarà necessario introdurre fra 10 o 15 anni? E’ molto probabile, infatti, che fra 15 anni altre persone saranno al governo e toccherà a loro maneggiare la patata bollente ereditata dai governi passati.

      Il cinismo dei governanti attuali sembra dunque il vero motivo che spiega la tendenza ad accumulare debito. Ma, si chiedono gli economisti, per quale ragione gli elettori consentono ai loro eletti di essere così cinici. Perché gli elettori si fanno “gabbare” dai politici quando questi aumentano le spese senza aumentare contemporaneamente le tasse? Perché gli elettori non anticipano che dovranno comunque pagare più tasse in futuro? 
Una prima risposta a queste domande fa leva sull’ingenuità degli elettori e sulla loro incapacità di realizzare che maggiore debito significa maggiori tasse in futuro. In questa prospettiva, i politici sfruttano la miopia degli elettori per aumentare il debito senza subire una sanzione elettorale.

      Una seconda risposta, invece, enfatizza il conflitto di interesse tra generazioni nel senso che le generazioni di oggi userebbero il debito come strumento per trasferire alle generazioni di domani il pagamento, non degli investimenti, ma delle spese correnti. In questa prospettiva, gli elettori non si oppongono alla tendenza dei governi ad accumulare debito semplicemente perché a loro non conviene opporsi. Perché gli elettori di oggi dovrebbero opporsi se il debito sarà pagato dagli elettori di domani?

      Si tratta, a ben vedere, di due risposte molto diverse dato che la prima parte dal presupposto che gli elettori siano ingenui ed ignoranti sui fatti economici mentre la seconda è basata sull’idea che gli elettori siano cinici e calcolatori non meno dei politici.
      Probabilmente, entrambe le risposte colgono una parte della verità. Esistono sia le persone incapaci di comprendere le conseguenze del debito sia le persone che, magari non con piena consapevolezza, antepongono il proprio interesse a quello delle generazioni future. Nel conflitto di interesse tra generazioni correnti e generazioni future queste soccombono non avendo, per ovvie ragioni, nessun politico e nessun partito che le rappresenti. Questo vale per il debito pubblico così come, ad esempio, per il consumo delle risorse ambientali. Qualunque sia la causa ultima, l’accumulo eccessivo di debito a danno delle generazioni future non è eticamente corretto come non lo è l’eccessivo sfruttamento delle risorse non rinnovabili. Occorre allora introdurre qualche tipo di rimedio.

      Se la causa ultima è l’ignoranza e la miopia degli elettori allora le democrazie moderne dovrebbero investire nella cultura economica dei cittadini. Se invece la causa ultima è la scarsa considerazione del benessere delle generazioni future allora il rimedio consiste nella creazione di strumenti che possano vincolare la propensione di governi ed elettori a creare debito. Gli accordi di Maastricht, ad esempio, pongono dei vincoli di questo tipo per i governi dei paesi che hanno rinunciato alla propria moneta per adottare l’euro.

      Vale la pena, infine, accennare ad un rimedio piuttosto radicale suggerito da alcuni economisti e politologi che  implica la revisione del principio “una testa, un voto”, principio che rappresenta un cardine del funzionamento delle moderne democrazie rappresentative. Secondo questi studiosi, per dare voce e peso politico alle generazioni future, occorre che i voti di coloro a cui le generazioni future stanno più a cuore pesino di più rispetto ai voti espressi da altri: in sostanza l’idea è che il voto espresso da un padre di famiglia, che incorpora anche l’interesse dei figli, debba valere di più rispetto al voto di un single.

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