La finanza islamica

Claudia Segre

1. La cultura islamica è sempre più diffusa, tanto in Europa quanto in Italia, nella sfera sociale e in quella economica. In pochi però ne conoscono davvero le caratteristiche. Come mai?

Vi sono due ordini di problemi: il primo legato ad un retaggio di tensioni sociali alimentato da flussi migratori ingenti che sono aumentati proprio in un momento di diffusa preoccupazione per la congiuntura economica globale che sta rinvigorendo derive nazionalistiche particolarmente nell’Europa centrale e nel Nord Europa.
Il secondo connesso alla mancanza di rappresentanti che parlino in nome delle comunità con un’unica voce prendendo le distanze e condannino gli attentati avvenuti in Europa ma soprattutto aiutino a diffondere uno spirito di integrazione fattivo in accordo con i Governi.
Ad esempio, in Italia, tra le confessioni diverse da quella cattolica che hanno stipulato con lo Stato italiano l’intesa prevista dall’articolo 8 della Costituzione per il riconoscimento delle festività religiose per i lavoratori vi sono 12 confessioni religiose e manca quella islamica, per l’impossibilità, a quanto pare, di trovare un rappresentante autorevole e unico che interagisca con il nostro Ministero dell’Interno come hanno fatto buddisti, valdesi, ebrei, evangelici etc.

2. Si parla abbastanza di finanza islamica in Italia?

La portata del segmento è ancora molto concentrata sui Paesi islamici e fuori da questi vi sono vari Tavoli di Studio dedicati ma commisurati alla dimensione del fenomeno. La mancanza di un adeguamento dell’impianto normativo europeo a recepire alcune caratteristiche tecniche della finanza islamica certamente non aiuta. Ma la Banca d’Italia e la Consob già da tempo stanno lavorando per consentire una valutazione fattiva del segmento ponendo principalmente attenzione sulle problematiche relative alla standardizzazione dei prodotti, la loro gestione, la normativa a sostegno, la liquidità e la trasparenza. Manca poi ancora una risposta definitiva da parte delle banche islamiche per uniformarsi alle recenti Direttive Europee e quindi alle normative di Basilea3 e Mifid 2 per poter agire sul territorio UE.

3. Quello dell’educazione finanziaria, rivolta tanto ai giovani quanto agli adulti, è un tema oggi più che mai attuale: quali step Istituzioni ed enti devono compiere per agevolarne la diffusione?

Leggendo il Quaderno Consob N. 82 dedicato alla percezione del rischio su un campione ristretto di clientela affluent si deduce che, aldilà delle considerazioni sul materiale messo a disposizione per decidere gli investimenti, il livello effettivo di comprensione dell’informativa finanziaria è contenuto, ed il ruolo di “educatore” svolto da intermediari e consulenti sia fondamentale anche laddove il livello di cultura generale sia più elevato.
Possiamo quindi immaginare che vista questa fotografia tra gli adulti occorra iniziare proprio dalle nuove generazioni per far crescere dei giovani, futuri investitori, consapevoli, e quindi pienamente padroni delle proprie decisioni. Attori primari della nostra economia sia dal lato della domanda che dell’offerta e quindi anche futuri imprenditori pronti ad una sfida verso l’internazionalizzazione, che passa per l’importanza di avere nozioni economico e finanziarie solide maturatesi nel tempo e sin dal periodo scolastico. Le istituzioni di mercato stanno già facendo da qualche anno sforzi notevoli per aumentare la consapevolezza degli investitori aldilà della complessità degli impianti normativi e dovrebbero interagire con il MIUR e le Fondazioni dedicate al tema per arrivare ai giovani similarmente.

4. A proposito di educazione finanziaria, le recenti indagini PISA-OCSE mostrano risultati non molto positivi in termini di competenze finanziarie nel nostro Paese, soprattutto tra i giovani. Cosa può e deve essere fatto per invertire questa tendenza?

L’analfabetismo finanziario dei nostri ragazzi tocca livelli preoccupanti, con oltre la metà degli studenti che si attestano su un livello di comprensione dei meccanismi economici e finanziari ben al di sotto della media dei paesi monitorati dalle indagini fatte. Inutile nasconderci che nei programmi scolastici ove vengono trattati temi come la globalizzazione, la crisi finanziaria globale, l’effetto serra piuttosto che la situazione economica e sociale dei continenti sin dalle medie non abbiamo alcun elemento di correlazione con le basi dell’educazione finanziaria. Oggigiorno i giovani si confrontano sin dalle scuole secondarie con tematiche legate ai flussi finanziari come sopra e più praticamente con una realtà “economica” anche nell’utilizzo di device come PC, smartphone e IPad , per non parlare di carte prepagate, senza conoscerne implicazioni ed effetti anche per l’ambito dell’”economia domestica” dalla quale traggono questi strumenti che utilizzano sempre più per lo studio.
Non basterà utilizzare l’alternanza scuola-lavoro per farne dei cittadini più consapevoli sull’argomento; occorrerebbe prevedere sin dalle medie un’ora a settimana almeno per garantire basi che ci elevino almeno alla media europea dalla quale restiamo ben lontani purtroppo.